Partiamo con evidenziare la differenze tra prevalenza motoria genetica e prevalenza motoria d'uso. La prevalenza motoria genetica corrisponde ad un'assimetria tonica di una parte del corpo rispetto l'atra. Ciò vuol dire che fin dalla nascita un lato del nostro corpo, destro o sinistro, risulta essere più forte e più veloce dell'altro. Non solo esiste una mano più "brava" dell'altra ma c'è anche un piede che è più abile dell'altro e un occhio che assume la funzione di direttore dei movimenti. Alcune ricerche evidenziano differenze anche nelle orecchie e nelle sue strutture interne deputate al controllo della motricità oculare, postura e tono. (Sono rare le eccezioni, quindi prevalenze crociate funzionali). La prevalenza di un lato del nostro corpo infatti non dipende dal funzionamento corticale, per cui un emisfero è dominante sull'altro nel comando della motricità, ma è di origine sottocorticale. Nello specifico la formazione reticolare si occupa della modulazione del tono di base in concomitanza con il cervelletto che organizza l'aspetto posturale. La prevalenza motoria d'uso invece si precisa e consolida nel corso dell'attività quotidiane e per questo può subire pressioni socio culturali. L'ambiente (l'attività dell'adulto, caregivers in generale) incide nella scelta della parte del corpo che utilizziamo stimolando o ostacolando la prevalenza motoria genetica. Può succedere che un destro inizi ad utilizzare la sinistra o viceversa. Questo vuol dire che fin dall'infanzia il bambino conoscerà il mondo esterno attraverso la parte del corpo meno efficiente e di conseguenza le informazioni sensoriali entreranno attraverso un canale più lento. Ciò può tradursi in una maggiore incertezza nelle attività di scoperta e nell'apprendimento motorio. Il senso di poca efficacia e inadeguatezza vissuto conduce l'individuo a "provare" sempre meno e quindi ad imparare sempre meno. Questo concetto appena descritto viene chiamato DISPREVALENZA e può portare a una dislateralità , ossia a un mancato riconoscimento di destra e sinistra e a conseguenti problemi di organizzazione spaziale (lettere e numeri che si confondono, di difficile orientamento, che non vengono memorizzati). Secondo E. Simonetta infatti la mancata lateralizzazione stabile associato a un disorientamento oculare primario conduce il soggetto a non trovare costanti punti di riferimento nello spazio ampio ma neppure per quanto riguarda le microforme. È probabile che anche per tali motivi Bourcier e Mucchielli (1974) e, in tempi più recenti Davis (1998) abbiano definito il disorientamento come l'aspetto più significativo tra i disturbi del soggetto dislessico. È importante sapere però che è possibile riconoscere alcuni segnali che potrebbero indicare la lateralita'nei neonati. In particolare tra la 13° e 14° settimana di vita gli occhi seguono la mano dominante. Solo tre settimane più tardi seguiranno l'atra. Secondo Gesell inoltre, lo studio del riflesso tonico del collo del lattante permette di prevedere la lateralita' nei 75% dei casi. Dovrebbe essere un'ottima abitudine quella di integrare e arricchire la raccolta dei parametri dell' indice apgar con queste informazioni. È certo che le nostre abitudini influenzano lo sviluppo dei neonati. Conoscere che destra e sinistra sono fondamentali nello sviluppo del bambino potrebbe aiutarci nel fare attenzione ad alcune abitudini che abbiamo: per esempio dove posizioniamo le posate sulla tavola ? Oppure i colori sul banco ?
Lasciamo il bambino libero di sperimentare, non indichiamo. Stiamo accanto loro con un occhio più attento.